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martedì 10 novembre 2009

racconto semi-casuale

Questo è un racconto nato in una serata un po' agitata e insonne. E' scritto come viene dalla testa, senza essere stato riletto e corretto. Perdonate, se qualcuno ci sia sempre a leggere questa cantina abbandonata del mio blog :), eventuali errori. Ho voluto appositamente lasciarlo così, spontaneo e senza titolo.

Decise che era ora di uscire.

Prese le sue cose, tutte storte, le sue brutte frasi, gli imbarazzi e li ficcò nella sua bella borsa vecchia.

Portò la borsa alla bocca e sussurrò a sé queste parole “nonostante tutto qui c'entrate ancora”.

Le sue abitudini, le sue mani che tanto avevano carezzato momenti non vissuti, le sue rughe le stavano a dire di se stessa e della sua vita: un ammasso sulla fronte: quante rabbie, quante bugie vi hanno scolpito. E se le carezzava.

Quando fu al piano di sotto lo fissò negli occhi.

Non era mai stata così dura.

Lui le disse di sì, che avrebbe fatto quello che gli aveva chiesto. Aveva tutto con sé. O meglio il poco che aveva, ma lo teneva sì, ben stretto. Anche le tue tasche vuote sono sempre tue.

Non si è mai visto un uomo senza tasche. Doveva pur averle. Così quel disordinato arruffato involtolo di lenzuola colorate e sporcate dal tempo e dalla polvere.

Eppure nell'insieme a lei parve così preciso: il suo essere arruffato e quel suo unico desolato bagaglio lo rendevano lui, e a lei questo bastava. Lo sapeva, non poteva farne a meno. Non lo avrebbe più voluto con sé senza le sue macchie, le sue viltà e le sue colpe. Era il suo dolce e tenero colpevole, voleva tenerselo per sé. Anche se lui fosse volato giù dalla finestra verso gli abissi di un mare oscuro e pungente, lei lo avrebbe aspettato, alla finestra come una giovane Penelope che anziché non completare la tela non completava la sua vita.

Era questo: una vita scucita, senza la trama giusta, una serie di maglie indecise e storte la rendevano quello che era: una tela sgualcita, senza un disegno preciso ma lui la amava ugualmente.

Le sue doppie punte, i suoi occhi profondi e le sue rughe, ah già, le sue bellissime e profonde rughe.

Era l'unica donna giovane del paese ad avere quelle tracce di una vita sul volto. Tutti avevano fatto dei figli per dimostrare di non essere immortali e per cercare di diventarlo in qualche modo,lei aveva solo quelle maledette rughe. Eccomi, eccole, siamo qui e non potete farci nulla, è così e basta.

Lasciateci andare, andremo dove nessuno è mai stato, dove non c'è un sole di giorno, ma è sempre notte, dormiremo un sonno profondo e ci sveglieremo quando le mie rughe saranno scomparse e lui sarà tornato.

Le prese il volto tra le mani, le sue mani grandi e forti come quelle di un contadino che non aveva mai lavorato e lunghe e disegnate come se Michelangelo ci avesse messo le sue di mani, come se gliele avesse fatte apposta per contenere il suo viso. Ecco perché quando lo fece, a lei sembrò di sentirsi come quei pezzi di granito che vengono restituiti alla terra, incassati nel loro vano, proprio da dove erano stati presi. In pace, in natura.

Perché era così che si sentivano: come due pezzi, diversi e mal assortiti, con tante altre parti attaccate: ognuno aveva le sue zavorre. Ma quando si guardavano, anche se lei gli guardava un braccio o lui le guardava il suo collo bianco, erano completi ma non potevano dirlo a nessuno: l'invidia del mondo li avrebbe separati e tutti li avrebbero odiati.

Si limitavano a guardarsi così, l'uno all'insaputa dell'altro.

Le sue rughe sottolineavano come lei muoveva gli occhi percorrendo le sue spalle e lui aveva le mani stanche, stanche di battere sulla sua finestra che lei fingeva di non sentire. Poi si girava nel letto e affondava felice il volto in un sogno dove lei si sarebbe affacciata da quella finestra, avrebbe raccolto prima le sue cose e lo avrebbe preso e se lo sarebbe portato via.





2 commenti:

.ailuiG ha detto...

"Tutti avevano fatto dei figli per dimostrare di non essere immortali "

:)

Ce ha detto...

patata! *-*