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martedì 17 giugno 2008

Story

Stava urlando ma senza voce.
Apriva la bocca, le labbra tese nello sforzo snervante di gridare un grande O che non uscì.
Il suo viso era rosso, rosso come quando ci si strozza, ma non aveva nulla che ostruisse il suo respiro. C'era solo la sua incapacità di parlare.
C'era solo la sensazione che qualunque cosa dicesse, sarebbe stata inesatta, non pertinente, debole.
Afferrò l'aria e la chiuse nei suoi pugni freddi, raggomitolati come gatti paurosi.
Corse più che poté, giù in fondo alle scale, corse corse finché non trovò un muro. Lì si fermò, fissò le crepe di fronte a sé, sentendo che il muro parlava chiaramente di quanto fosse ridicolo un essere così completo, quale quello che era di fronte al muro, che si sente senza un sé.
Sentì che la pazzia dettava il discorso al muro. Il muro non può parlare. Lo zittirò con il mio pensiero, la mia razionalità.
Lasciò perdere il muro e continuo ad andare giù, giù per altre scale, sempre in fondo, dove c'era un garage.
Lì iniziò a inveire contro le macchine parcheggiate tranquille e indifese, belle e lucenti, i loro fari che guardavano tutto dall'alto in basso, cattive.
Si svegliò che era l'alba, l'azzurro chiaro del mattino che arriva portò con sé nuovi pensieri e propositi. La certezza che non era riuscita ancora ad imparare a vivere la assalì. Ma ormai senza sconforto, si tirò in piedi, camminò verso l'uscita, il suo vestito carino era tutto da buttare, un po' come la sua faccia e i suoi pensieri.